L’uomo, dotato di libero arbitrio, a differenza degli altri esseri viventi, ha il potere di soccorrere e aiutare la vita della Natura, ma ha anche l’orrendo potere di distruggerla. E la distruzione della Natura può avvenire, si badi bene, non solo attraverso le armi atomiche, ma anche attraverso la devastazione ambientale alimentata dall’attuale e sviato sistema economico finanziario, che poggia su un grave equivoco di fondo, l’affermazione della possibilità di uno sviluppo economico infinito, là dove si dispone di risorse finite e non rinnovabili oltre certi ben precisi limiti.
Il problema è stata risolta dal costituzionalismo moderno del secondo dopoguerra, che ha dato nuovo impulso al giusnaturalismo, inserendo nelle Costituzioni europee il valore della natura e dell’arte. Lo afferma esplicitamente l’art. 9 della nostra Costituzione, secondo il quale “la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio artistico e storico della Nazione”, mentre l’art. 33 della stessa Costituzione sancisce che “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. E’ infine da rammentare, a conferma di tutto questo, che l’art. 117, del Titolo V della Seconda Parte della Costituzione, novellato con legge costituzionale n. 3 del 2001, ha assegnato alla potestà legislativa esclusiva dello Stato le materie dello “ambiente, ecosistema e beni culturali”. La “bellezza”, che si esprime nella natura e nell’arte, è da ritenere, dunque, a tutto titolo, “valore costituzionale”.
Nel giusnaturalismo costituzionale (anche se taluno lo nega) risiede, a nostro avviso, la “bellezza” della nostra Costituzione: infatti, il dar rilievo, non solo al “lavoro” umano, considerato il “fondamento” della Repubblica, ma anche al paesaggio, ai beni artistici e storici, all’arte e alla scienza, nonché all’ambiente, all’ecosistema e ai beni culturali in genere, vuol dire che la Costituzione stessa pone in “equilibrio”, e quindi in “armonia” tra loro, il valore uomo e il valore natura, considerando entrambi indispensabili per lo “sviluppo della persona umana” e il “progresso materiale e spirituale della società” (art. 3 e art. 4 Cost.). Oggetto di regolamentazione, in altri termini, è la “vita nel suo complesso”, che è la massima espressione della “bellezza”. E a questo punto non si può sottacere che la “bellezza” della quale è ammantata la nostra Costituzione deriva anche da quella che è stata definita “l’etica repubblicana”, il fatto cioè che tutte le disposizioni costituzionali si ispirano ai principi di “libertà, eguaglianza e solidarietà” (“l’eguaglianza” soprattutto), principi che costituiscono, per così dire, l’asse portante del “bello” che si ritrova nella nostra Carta costituzionale.
Vien fatto di chiedersi, a questo punto, come mai con una Costituzione così bella, armoniosa e equilibrata, ci troviamo in un mondo nel quale sono aumentati oltre i limiti della sostenibilità il degrado ambientale e le difficoltà di trovare un lavoro. Oggi, infatti, non c’è lavoro, ma disoccupazione, specie quella giovanile, e il “bello” in natura è sempre più raro e limitato.
La risposta è complessa, e anche molto amara e preoccupante: ci troviamo in questa situazione, poiché, per un verso il “sistema economico finanziario” è diventato un sistema “deviato”, e, quindi “squilibrato”, e per altro verso, a causa della subordinazione della politica alla finanza, si sono ammassate numerose leggi incostituzionali, che hanno avuto come scopo non il perseguimento degli interessi generali, ma il perseguimento degli interessi particolari delle multinazionali e delle banche, ed hanno dato luogo a un confuso “ordinamento giuridico” del tutto “squilibrato”, che arreca danni incalcolabili alla vita individuale e sociale.
Cominciamo dal sistema economico finanziario. L’attacco proditorio all’economia italiana fu consumatoil 2 giugno del 1992 sulla nave Britannia, il panfilo della regina D’Inghilterra dove salirono a bordo i nostri politici, tra i quali Draghi, e, come sembra, Prodi e Tremonti, insieme al Presidente dell’IRI Bernabé e molti altri esponenti dell’industria italiana. A bordo, i nostri rappresentanti incontrarono un centinaio di esponenti finanziari che decisero la “privatizzazione” dei gioielli italiani. Così il governo italiano, presieduto da Giuliano Amato, privatizzò le Aziende di Stato: Enel, Eni, Iri, e le industrie di Stato Alitalia e Pirelli. Seguirono poi infinite altre privatizzazioni e ora l’Italia si trova nello Stato che sappiamo.
E non si può nascondere che abbiamo toccato l’assurdo con il governo Berlusconi, il quale, con il decreto legislativo n. 85 del 2010, istitutivo del cosiddetto “federalismo demaniale” ha reso “vendibili”, e quindi “privatizzabili” i “demani” idrico, marittimo, culturale e minerario, nonché, con altre numerose leggi, ha, per così dire, “messo all’asta” gli immobili pubblici statali, regionali e comunali, consentendo la “svendita”, specialmente a stranieri, anche di veri e propri monumenti artistici e storici, come la “Zecca” di piazza Verdi a Roma e la famosa Casina Valadier del Pincio sempre a Roma. Ma sono stati venduti anche tratti di spiaggia e interi territori di incantevole bellezza.
Così, è bene ripeterlo, i nostri governi hanno impoverito l’Italia e arricchito gli speculatori finanziari, aumentando la potenza dei mercati ed essendo prevalsa l’idea che per l’Italia, che non offre “adeguate garanzie” e che pertanto deve “tenere i conti a posto”, non c’è altra via se non quella di vendere i nostri gioielli, e cioè i nostri beni di maggior pregio e di più esaltante bellezza.
La tendenza, favorita dai nostri governi, è dunque quella di abbattere gli Stati nazionali per creare un mondo globalizzato, nel quale, come predica il “neoliberismo”, non esistono più territori o Popoli, ma uno “spazio libero”, nel quale si realizza l’obiettivo unico del “massimo profitto” degli operatori economici e finanziari e tutto passa attraverso un “gigantesco mercato globale”.
Insomma, stiamo camminando verso una configurazione del mondo in cui il “valore” della “Natura” è completamente calpestato e, con la Natura, è schiacciato anche il ”valore” dell’uomo inteso come essere vivente dotato di intelletto e volontà, mentre viene configurandosi il modello, cui mira l’ideale neoliberista, dell’uomo “auto imprenditore”, la cui attività deve essere rivolta all’accumulo del danaro e all’abbattimento di tutti vincoli che frenano questo tipo di attività.
A questo punto si capisce come e perché ci sia stato un travaso di ricchezza dagli Stati ai privati che agiscono nel mercato: la premonizione di Roosevelt, secondo la quale “una democrazia non è salda, se consente a uno dei suoi componenti di possedere una ricchezza maggiore di quella dello stesso Stato democratico”, si è verificata a livello globale e la conseguenza, ovviamente da scongiurare, è la fine della “democrazia” in tutti gli Stati del mondo. Dal punto di vista giuridico, si può affermare che la “sovranità”, cioè la somma dei poteri da far valere in ultima analisi con la forza, è passata dagli Stati o dalle Unioni di Stati al “mercato”, e cioè alla “finanza”, la quale è arrivata al punto di poter imporre a tutti la sua volontà.
E’ urgente, dunque, un “patto” tra uomo e Natura, per evitare l’abbrutimento di tutto e di tutti e per difendere la “vita” nella sua intrinseca “bellezza”.
E, per quanto riguarda l’Italia, questo “patto” già c’è: è la Costituzione con la quale è Stata istituita la Repubblica Italiana. Come si diceva all’inizio, la Costituzione ha il fine dello “sviluppo della persona umana” e del “progresso materiale e spirituale della società, mentre pone come “valori” da difendere, sia l’uomo, sia la Natura.
Si tratta, allora, di applicare la nostra Carta costituzionale, la quale è stata violata e addirittura vilipesa dalle leggi in contrasto con gli interessi di tutti gli Italiani. Si deve in sostanza affermare che la “potenza” della “finanza” è come un gigante dai piedi di argilla, che si può senz’altro neutralizzare se, anziché andar dietro le oscure teorie neoliberiste, si realizza lo “Stato sociale” che la Costituzione prevede, dando reale attuazione alle norme del Titolo III della I Parte della Costituzione, dedicato ai “Rapporti economici”.
L’obiettivo fondamentale da raggiungere è far capire che l’arma di cui si serve la finanza per accentrare tutta la ricchezza nei mercati e indebolire gli Stati nazionali togliendo loro pezzi di demani e di estesi territori, è l’istituto giuridico della “proprietà privata”, la quale non è affatto quello “strumento acuminato” al quale è impossibile resistere che la propaganda neoliberista vorrebbe far credere, ma è, in base alla Costituzione, un tipo di “appartenenza” subordinato all’”utilità sociale” e controbilanciato da un altro tipo di appartenenza che è la “proprietà collettiva del territorio”, che spetta al Popolo a titolo di sovranità.
Ciò si ricava da una lettura letterale e logica dell’art. 42 Cost, secondo il quale, nel secondo comma, “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento ei limiti, allo scopo di assicurarne la funzione sociale”. E’ ovvio che qui si parla solo della grande proprietà, cioè della proprietà dei beni che producono un’utilità esuberante rispetto ai bisogni strettamente individuali e familiari (che sono diritti fondamentali ai sensi dell’art. 2 Cost.) del proprietario privato, e questo tipo di proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge solo e in quanto “assicura” il perseguimento della “funzione sociale”, con l’ovvia conseguenza che “il mancato perseguimento della funzione sociale” fa venir meno la “tutela giuridica” del bene stesso, il quale torna là da dove era venuto, cioè nella proprietà collettiva del Popolo, senza bisogno di esproprio e indennità di espropriazione.
Dunque, in base alla nostra Costituzione, che è legge fondamentale della Repubblica, la “proprietà privata” non ha quella portata che il pensiero neoliberista vuol far credere ed esistono tutti i mezzi giuridici per ricomporre il “grande squilibrio” che si è verificato , poiché perseguono un fine opposto.
Un dato molto importante da porre in evidenza è che la titolarità della proprietà privata immobiliare non porta con sé il potere di edificare, il “ius aedificandi”, o di scavare nel sottosuolo, il “ius fodiendi””. Ciò significa che il Popolo sovrano, nel “cedere” a privati piccole zone del suo territorio, non ha ceduto il potere di “trasformare” il territorio stesso, né in superficie, modificando il “paesaggio”, né in profondità, modificando il sottosuolo, le falde acquifere e così via dicendo. Dunque, nel contrasto tra un privato che vuol costruire in base al suo diritto di proprietà privata, ed un cittadino che vuole impedirglielo in quanto comproprietario di una proprietà collettiva che spetta a tutti a titolo di sovranità, è quest’ultimo che si trova in posizione molto più forte, poiché esso fa valere, come “parte” di tutto il Popolo, un potere sovrano che il privato non ha.
Per “riequilibrare” il grande “squilibrio” che si è verificato tra conservazione e valorizzazione della Natura e speculazione edilizia distruttiva dei suoli agricoli e della bellezza del paesaggio, è necessario far valere il “diritto collettivo di tutti” alla tutela dell’ambiente e del paesaggio” contro i sopraffattori di questi beni che sono “comuni”, poiché sono in appartenenza di tutti.
Per far sì che la “Natura è bellezza”, la Costituzione ci dà una mano e pone nelle mani del Popolo la possibilità di ricostituire un “equilibrio” sia del “Sistema economico finanziaria”, sia dell’”ordinamento giuridico”. Si tratta, in sostanza di abrogare le leggi illegittime che stravolgono sia il sistema economico che quello giuridico e occorre soprattutto far capire all’immaginario collettivo la posizione subordinata che, nell’ordinamento costituzionale, occupa la “proprietà privata” rispetto alla “proprietà collettiva del Popolo”.
E a questo fine la Costituzione ci offre un grande strumento giuridico, quello della “partecipazione popolare”, che mai come oggi, nel comportamento anomalo dei pubblici poteri, ha assunto il valore di un vero e proprio “contropotere” per correggere gli errori dei governanti. E si badi bene che questo potere si esercita sul piano legislativo con la proposta di legge popolare (art. 71 Cost.) e con la richiesta di un referendum abrogativo (art. 75); sul piano amministrativo costituendosi davanti al responsabile del procedimento amministrativo come “portatori di interessi diffusi”, ai sensi della legge n. 241 del 1990; sul piano amministrativo e giudiziario facendo valere i poteri di cui all’ultimo comma dell’art. 118 Cost., secondo il quale: “Stato, Regioni, Città metropolitane, province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa di cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, in base al principio di sussidiarietà”.
In conclusione, può dirsi che il volontariato italiano, che è tanto attivo in tutti i campi, deve assumersi due importanti carichi: l’uno sul piano sociale, l’altro sul piano politico e giudiziario.
Sul piano sociale, l’obiettivo deve essere quello della “decrescita”. Gli scienziati hanno già detto che, a partire dal 2 agosto 2012, la Terra non è più in grado di “rigenerare” quanto viene consumato da 7 miliardi e 300 milioni di abitanti. E’ impossibile pensare che si possa andare avanti secondo gli schemi neoliberisti di uno “sviluppo senza fine”, essendosi ormai esaurita la capacità rigenerativa della Terra, e essendo sulla via dell’esaurimento anche le risorse non rinnovabili. Qui, come è ovvio, non ci sono ricette miracolose e la stessa tecnologia può esserci di aiuto solo fino a un certo punto. Il provvedimento da adottare è solo “il cambiamento degli stili di vita”, che significa evitare gli sprechi, incrementare l’agricoltura biologica e l’artigianato, gestire il turismo in modo accorto e consapevole, evitare completamente il consumo dei suoli agricoli, impedire le emissioni di gas tossici e così via dicendo.
Sul piano politico e giudiziario, occorre far capire che potremo salvarci da quella che viene chiamata crisi, abolendo la nostra sottomissione ai voleri della finanza, la quale si esprime soprattutto con le prescrizioni della BCE e del Fondo monetario internazionale, formati entrambi da banche private, ricostruendo lo Stato sociale, vietando le privatizzazioni, le delocalizzazioni e le liberalizzazioni, tutti strumenti micidiali che hanno come fine i guadagni delle multinazionali e l’impoverimento del popolo italiano.
E c‘è, infine, per riattivare l’economia, la necessità di un intervento statale nell’economia attraverso la realizzazione di una grande opera pubblica di risanamento dello “squilibrio” idrogeologico d’Italia, un’opera pubblica che diffonda ricchezza su una vasta platea di lavoratori: ben altro che gli aiuti diretti alle imprese e alle banche, che si trovano, non alla base, come i lavoratori, ma alla fine del ciclo economico, e che certamente non ritengono conveniente investire i capitali ricevuti in attività produttive.
E’ questo che potrà far crollare il gigante dai piedi di argilla della finanza internazionale: la restaurazione di una Stato sociale, che, come una famiglia, evita distorsioni e redistribuisce la ricchezza secondo criteri di assoluta “eguaglianza”.
Se si riuscirà a capovolgere l’attuale stato di cose, se gli Italiani faranno valere la loro intelligenza creativa e la loro integrità morale, potremo risalire la china e fare del nostro Paese un luogo nel quale domina l’armonia, l’equilibrio, la bellezza, la vita.