Se guardiamo al risultato della crescita tumultuosa delle grandi città italiane nell’ultimo mezzo secolo, l’idea di sviluppo e di espansione può sembrare antitetica al concetto di paesaggio, inteso come espressione della natura e della storia dell’insediamento umano, e questo proprio nelle aree di margine urbano. Il risultato è, infatti, un paesaggio confuso, frammentato, che permane in brani all’interno dell’edificato, riappare e si confonde negli incerti e deboli confini della città.
Roma, per ragioni morfologiche, per le sue antiche origini e per la storia del suo Agro, è caratterizzata rispetto ad altre metropoli da un paesaggio molto esteso, che si incunea nella città storica e consolidata. Nei territori di frangia dell’edificato esistono aree, che ancora conservano molte delle loro caratteristiche e sono ricche di testimonianze dell’insediamento storico archeologico. Qui si possono trovare usi agricoli o di pascolo e aree boscate, ma anche degrado ed abbandono, in attesa di destinazione, o condizioni di ibrida trasformazione.
Le situazioni peculiari delle aree di margine della città di Roma rendono difficile la percezione immediata dei valori e delle potenzialità paesaggistiche, che mantengono anche se in parte obliterate dalla diffusa edificazione di speculazione e da quella abusiva, sviluppatasi senza regole fino ai nostri giorni. Tuttavia, queste potenzialità paesaggistiche potrebbero fornire la possibilità di ricondurre le aree, qualora recuperate, ad una concezione positiva di spazio pubblico, di parchi storico-archeologici, di campagna urbana e periurbana.

Nella situazione attuale, in mancanza di interventi, le aree di margine sembrerebbero ribadire la loro natura di non luogo, e confermarne anche dal punto di vista percettivo la precarietà degli usi. È, infatti, proprio la precarietà di uso di queste aree, che costituisce l’essenza della rendita fondiaria distorta che, non a caso, è detta rendita di attesa.
La campagna a Roma, per storia e natura, ha partecipato e partecipa, comunque, significativamente alla costruzione del sistema ambientale, alle infrastrutture verdi, alla struttura della città. Ne consegue che anche gli esiti dello sviluppo edilizio disordinato, possono essere visti al positivo e ricondotti con attenzione, attraverso opportune strategie di recupero e rigenerazione, alle forme della città diffusa, in cui è possibile sperimentare un nuovo progetto di “paesaggio identitario” dei singoli territori, condiviso con le comunità locali, che di questo paesaggio sono gli attori.
Nelle aree di margine piu’ degradate e in interi quartieri critici delle cosidette “periferie”, basta guardarsi intorno con attenzione e, accanto ad edifici residenziali densamente abitati, ad insediamenti abusivi, a quartieri di hausing sociale, ad infrastrutture di trasporto incomplete, a strutture di servizi più o meno definite o in attesa di completamento, si possono scoprire elementi morfologici, frammenti di boschi, campi agricoli, piccole coltivazioni, pascoli, zone di natura spontanea superstite o rigenerata, preesistenze . Questi elementi mantengono, o costituiscono essi stessi. segni significativi della storia degli insediamenti, antichi o meno antichi, della storia delle collettività attualmente insediate.
Sono gli elementi che ritroviamo e che caratterizzano quartieri romani come Tor Bella Monaca, Corviale, Laurentino, Tor Tre Teste, Centocelle, Torre Spaccata, ecc. , dove brani di paesaggio più o meno degradato, c rappresentano una grande potenzialità in chiave sia ecosistemica, che culturale per questi quartieri e per la citta nel suo complesso, perché possono contribuire al riequilibrio ecologico, alla qualità del sistema urbano, e a sviluppare processi di identità dei luoghi, particolarmente sentita da parte dei cittadini. Tali elementi, opportunamente valorizzati rappresentano, infatti, riferimenti territoriali molto significativi per la coesione delle comunità insediate, in definitiva possono offrire un potenziale di paesaggio urbano contemporaneo, come insieme di componenti fisiche, biologiche e culturali essenziali per sviluppare processi efficaci di riequilibrio urbano.
La campagna ed il verde a Roma, per la storia e la natura del territorio, rappresentano ancora una parte significativa della città, circa 87% dell’intera superficie e possiamo definirli come capitale naturale, risorse e potenzialità essenziali nell’ottica della città contemporanea resiliente, che ha necessità di riequilibrio sul piano ambientale, sociale, economico e culturale per “rigenerare” i territori degradati dei quartieri della cosidetta “periferia” per la sua stessa sopravvivenza.
In particolare nel caso di Roma, si tratta quindi di adottare un approccio nuovo ai gravi problemi della città contemporanea perché la città, anche quella più antica dipende dalle sorti del territorio di frangia, dalle sue “ periferie” sia sul piano ecologico, che sul piano culturale e sociale.
Le città appaiono, oggi, in profonda crisi di ruolo e funzione, sia come struttura fisica, che sul piano economico e sociale. Questa crisi si fa sentire maggiormente nelle aree della periferia, dove peraltro vive 80% della popolazione. Sempre piu’ appare chiaro la necessità di un modello urbano diverso, a partire dal riequilibrio ambientale, sociale ed economico., la necessità di una organizzazione urbana diversa, in grado di affrontare questi squilibri, che ribalti l’approccio solo negativo ai territori di frangia, ma invece riparta dalle risorse presenti.
Oggi a seguito della recente pandemia questi problemi sono emersi nelle città con maggiore chiarezza: l’inquinamento, la struttura urbana densa, la carenza dello spazio pubblico, la diseguaglianza sociale ed economica. E’ emersa la necessità urgente di un ripensamento indispensabile rispetto ad un futuro delle città sostenibile sul piano ecosistemico, sociale ed economico e più equo, che dovrà basarsi in primo luogo su una strategia territoriale per i quartieri della “ periferia”. Qui gli ecosistemi sono necessariamente i riferimenti di base del riequilibrio, il paesaggio una risorsa per puntare alla qualità complessiva degli insediamenti, a partire dalla domanda dei cittadini di spazi pubblici.
É molto evidente a Roma, proprio in questi territori piu esterni, la domanda crescente delle collettività di sistemi di verde, di connessioni , di spazi pubblici, di servizi, di qualità , e riequilibrio del territorio. Tale domanda, in molti casi, si è rafforzata e precisata con il crescere della consapevolezza della storia e della memoria fisica del proprio territorio, per cui possiamo definirla domanda di “Paesaggio identitario”.
Da un lato la domanda dei cittadini è evidente nella ricchezza e forza delle proposte, che divengono sempre più consapevoli sul piano culturale, definendo una sorta di riappropriazione dello spazio pubblico fino a disegnare nuovi modelli urbani, per una qualità diffusa e basata sulla consapevolezza culturale e su forme di nuova socialità.
Dall’altro lato questa domanda delle collettività e delle associazioni di cittadini, che a Roma sono davvero numerose e vivacissime, e che tanto elaborano sui propri territori, appare sempre piu’ inascoltata dagli operatori, non compresa nel suo vero significato, o nel migliore dei casi è presa in considerazione solo se diviene conflitto, contrasto a scelte operate sul territorio.
In alcune sperimentazioni sviluppate a Roma, basate sulle potenzialità presenti per sviluppare paesaggio identitario, e sulla domanda delle collettività, si possono già leggere i risultati di avvio di processi di rigenerazione urbana. Si tratta di progetti basati sul recupero del paesaggio identitario, che sono stati in grado di ridare struttura e riequilibrio a quartieri degradati, come nel caso del quartiere Laurentino o del quartiere Torre del Fiscale.
La struttura del paesaggio identitario
Il disegno dell’antica Roma fu, come noto, profondamente influenzato dalla topografia (le sette colline sono l’esempio più famoso della complessa orografia della campagna romana) e dalla presenza di risorse naturali, basti pensare al Tevere e al complesso sistema di acquedotti). La popolazione non si stabilì solo nella parte più densamente urbanizzata, che solo in seguito fu inclusa nelle mura della città, ma l’insediamento si appoggiò a una fitta rete di ville di produzione in aree periferiche, la cui testimonianza è stata tramandata grazie al disegno dei campi, alle rovine architettoniche e alla toponomastica.
I paesaggi romani più significativi, testimonianza dei sobborghi dell’antica Roma, permangono nella periferia della città attuale. Nei secoli più splendenti della sua storia urbanistica, da Cesare ai Severi, Roma non aveva mura, era una città aperta, dove il verde entrava nel cuore della città e l’area edificata si estendeva e si diradava, integrandosi nella campagna, diluendosi in un territorio senza apparenti limiti visivi, per poi riconnettersi con le città vicine sulle colline. Le aree residenziali si estendevano in gran parte lungo le strade consolari, seguendo un sistema radiale centrifugo. Questa evoluzione della struttura urbana è confermata dal passaggio dalla configurazione chiusa della vecchia città repubblicana a quella aperta della città imperiale, ricca di aree verdi e libere, integrata in una campagna produttiva.
Questa interpretazione, che considera la morfologia dell’antica Roma come fonte d’ispirazione per il recupero delle periferie nella città moderna, suggerisce di orientarsi verso un approccio paesaggistico, che integri città e campagna, per riproporre nelle attuali aree di margine la qualità urbana diffusa che era già presente nell’antica metropoli, cosi da leggere la sedimentazione che ha avuto luogo nel corso dei secoli.
Le tracce che sopravvivono di attività agricole e di insediamenti storici, in uno scenario evocativo straordinario, possono, in alcuni casi, necessitare di ricostruzione e di una riproposizione sapiente con un approccio moderno, ma la loro riscoperta, salvaguardia e valorizzazione non è solo una necessità per la cultura storico-archeologica ma, soprattutto, sembra essere oggi esigenza e consapevolezza dei cittadini per conquistare il paesaggio e l’identità dei territori della città contemporanea.
La rete ambientale alla base del paesaggio
Roma ha, grazie al capitale naturale ancora presente, una diffusa rete ecologica, costituita dal sistema di infrastruttura verde, sia di parchi e riserve, aree naturali protette, che di aree verdi pubbliche, da elementi lineari, con un diverso grado naturalistico, dalla fitta rete idrografica, dalle aree agricole ; un insieme, in parte anche protetto e vincolato, che si estende per circa 86.000 ettari, e si sviluppa prevalentemente proprio nei territori piu’ esterni. La rete ecologica ha definito anche alcuni corridoi ecologici strategici di aree verdi in continuità, dove ancora elementi ambientali risultano strettamente connessi ad elementi storico archeologici e può costituire una base forte di storia e natura, come sistema, per il paesaggio potenziale che si propone.
L’efficienza della rete garantisce all’ecosistema città, i cicli biologici (aria, acqua, suolo) e quindi, se opportunamente gestita e potenziata, può migliorare le funzioni biologiche, salvaguardare lo spazio con una logica ecosistemica, consente alle aree più urbanizzate, la riduzione strutturale dell’inquinamento atmosferico, la lotta ai cambiamenti climatici, una migliore termoregolazione, l’arricchimento della falda acquifera, qualità urbana nelle aree piu’ periferiche, ma anche nelle aree centrali. Significa anche preservare un patrimonio di biodiversità, sia vegetale che faunistica, notevole per una metropoli (1500 specie di flora spontanea solo nell’area interna al Grande Raccordo Anulare, 190 specie di alberi spontanei o naturalizzati, 7 consociazioni vegetali)
Il paesaggio identitario nel quadrante Est, proposte dei cittadini per un sistema connettivo di parchi
Il paesaggio nell’ accezione di paesaggio identitario, non va inteso come mera tutela, ma come valorizzazione dell’esistente. Il ruolo determinante è svolto, infatti, dal fattore di identità percepito dalla comunità locale, che riconosce in “luoghi” e contesti, riferiti ai territori di origine, un valore essenziale da sviluppare, che ricerca le radici di insediamento insieme ai benefici ecologici. Questi sono gli elementi alla base del ruolo attivo delle comunità nei reali processi di rigenerazione. Si può quasi delineare l’obiettivo ambizioso di affrontare e rimodellare la relazione tra società e paesaggio. Occorre fare degli esempi concreti per chiarire.
Particolarmente evidente appare, ad esempio, la crescente domanda di “ paesaggio identitario” dei comitati ed associazioni nel quadrante Est, territorio con molte problematiche di struttura urbana e degrado. Dai comitati e dalle varie associazioni locali è rappresentata l’urgenza di realizzare nella periferia orientale un sistema connettivo di parchi, che interessa in particolare le zone: Tiburtino, Collatino, Prenestino, Labicano, Serenissima, Tor Sapienza, Cervelletta, Ponte di Nona, Salone, Gabi. Proprio in quel quadrante si trovano, accanto ad un diffuso degrado, sia fisico, che abitativo e sociale dei quartieri, preesistenze di interesse archeologico, brani di campagna con casali, aree naturali, quindi risorse naturali e culturali, in parte abbandonate. Tale sistema connettivo di parchi, peraltro già individuato in parte come “parco culturale” dal Piano Territoriale Paesistico della Regione, potrebbe comprendere parchi come parco Tiburtino, Snia Viscosa, Tor Tre teste, parco campagna ed archeologico della Serenissima, parco di Centocelle, in parte già previsti nel PRG, a carattere naturalistico e storico archeologico, mai attuati e con piani in scadenza.
Secondo la proposta dei cittadini, definita “Parco LineaRe”, il sistema di parchi Est dovrebbe svilupparsi a partire dal progetto, già esistente ed approvato da Roma Capitale nel 2012, che prevede la realizzazione di una pista ciclo-pedonale, in parte già finanziata dal Ministero LLPP, che attraversa appunto tutti i territori ad Est, dal centro fino a Gabi. La proposta propone la riforestazione dei terreni liberi, abbandonati o soggetti ad usi impropri, interventi per spazi pubblici e servizi di base, riqualificazione di aree archeologiche, orti e agricoltura sociale, zone a traffico limitato, isole ambientali, collegamenti delle aree libere con i quartieri limitrofi attraverso reti di percorsi ciclopedonali di connessione locale.
Comitati ed associazioni, fra cui l’Ecomuseo Casilino e Italia Nostra, prevedono, che l’eventuale progetto possa “articolarsi in aree più ridotte”, che “comprenderanno un tratto della ciclabile lineare, servizi di base, parchi e territorio urbanizzato rigenerato”, in modo da riconnettere localmente frammenti di città e brani di territorio recuperati dall’abbandono e da usi impropri e restituiti alla loro identità culturale.
All’interno del sistema proposto ricade il Comprensorio archeologico “Ad Duas Lauros” e il parco della Serenissima , aree recentemente vincolate dal Mibact per la presenza dell’ antica Collatina, di necropoli, di ville romane ecc. Quest’ultimo, appunto il “parco della Serenissima”, già pubblico, circa 36 ha, e per il quale ci sono già fondi Di RFI disponibili per il Comune, si collega ad est alla Riserva Naturale Valle dell’Aniene, lungo le aree comprese tra la linea ferroviaria ad alta velocità Roma-Napoli e il tratto urbano della autostrada A24, fino a Gabi , per connettersi a sud con il sistema del parco dell’Appia Antica.
Questi parchi urbani, già individuati e pur così indispensabili, non sono stati ancora realizzati dopo anni di attese, nonostante le aree siano in gran parte già pubbliche, oppure sono stati realizzati solo in minima parte, come è il caso ad esempio del parco archeologico di Centocelle, che attende da anni bonifiche urgenti, completamento di espropri, sistemazioni e controllo.
Infine un altro esempio è la domanda crescente di “paesaggio identitario” sviluppatasi nei territori urbanizzati prossimi o compresi nel parco archeologico dell’Appia Antica, ed il ruolo determinante, in questo territorio di prima periferia, di straordinarie preesistenze : Acquedotti, Villa dei Quintili, Villa Sette Bassi, Villa Capo di Bove ecc. Basta pensare al quartiere Appio Claudio con il ruolo svolto dal parco degli Acquedotti , al quartiere Tuscolano, o al quartiere di Torre del Fiscale con il parco di Torre del Fiscale. Infine, un chiaro esempio della stretta integrazione tra parco e tessuto della città è la Valle della Caffarella, la parte pubblica del parco dell’Appia Antica, che ha radicalmente modificato e migliorato la struttura del quartiere Appio latino.
L’agricoltura urbana ed il nuovo patto città- campagna
Ben oltre il 60% dei territorio di Roma risulta ancora utilizzato dall’agricoltura per coltivi o a pascolo. Come è noto, Roma è tra i comuni con la maggiore estensione agricola in Europa. Il cosiddetto “Agro romano” è ancora ampiamente presente, nonostante la costante minaccia di edificazione e nonostante che l’erosione di suolo sia tangibile, e che alcune aree agricole siano in stato di semi-abbandono, prive di adeguate politiche per lo sviluppo dell’agricoltura urbana.
Si tratta di una campagna, rappresentata e idealizzata da numerosi artisti, molto variata con le sue dolci colline e valli, la sua agricoltura e i suoi pascoli estesi, intervallati da straordinari affioramenti, resti archeologici, come gli Acquedotti di Appio Claudio, Felice, Alessandrino, le torre medievali, gli antichi casali di grande interesse architettonico e tipologico, come difesa della coltivazione e testimonianza dei vari momenti di sviluppo delle tenute storiche.
È una condizione paesaggistica unica, in gran parte ancora leggibile, che ancora oggi potrebbe offrire proprio ai quartieri più critici della periferia, o dell’abusivismo sanato, la possibilità di ritrovare un’identità e una struttura locale con operazioni mirate a valorizzare l’agricoltura urbana presente, sia in chiave paesaggistica, che produttiva e di servizio, attraverso i servizi offerti dalla multifunzionalità.
È un’occasione straordinaria per la ricerca di un paesaggio identitario: la convivenza tra il paesaggio produttivo e quello urbano, per ritrovare e rafforzare quella identità dei luoghi, così diversificata e fortemente sentita dai cittadini .
La domanda di molte comunità locali tende ad enfatizzare le risorse verdi ed agricole, storiche e di identità. Applicando strategie basate su un vasto processo di coinvolgimento attivo dei cittadini interessati, è possibile riscoprire il senso di appartenenza ai luoghi e alle attività, identificare i valori della propria storia, importanti per le persone che vivono in quella zona, ed al tempo stesso sviluppare nuove relazioni produttive, economiche, sociali. Storia e l’identità dei luoghi vanno riscoperte anche a livello di percezione visiva, con l’aiuto di un costante processo di partecipazione. Le tracce sopravvissute delle attività agricole e degli insediamenti storici possono riscoprire una funzionalità più moderna attraverso le nuove formule di agricoltura multifunzione. La loro riscoperta, protezione e valorizzazione non è necessaria solo per la cultura storico-archeologica, ma apre interessanti possibilità per sperimentare nuovi modelli, in un nuovo patto fra città e campagna, da condividere con le parti interessate.
Ad esempio ll programma per le “aree agricole pubbliche” lanciato dall’Amministrazione Marino nel 2014 puntava proprio ad utilizzare aree agricole già pubbliche, da affidare con bando ad aziende di giovani agricoltori, per sviluppare forme di agricoltura multifunzione, utile per l’incremento della produzione agricola urbana in generale, ma in particolare indirizzata ai quartieri limitrofi, definendo nuovi modelli di produzione e consumo e nuovi valori di paesaggio Il programma, solo in parte sviluppato, rappresenta un utile esperimento per un modello di vita urbana meno estraneo alla natura e un nuovo modello di paesaggio rurale da offrire agli abitanti e da condividere con altri cittadini come qualcosa di prezioso, qualcosa di essenziale per tessuti danneggiati e per creare un dialogo con la storia e le attività produttive.

Le politiche culturali e le strategie territoriali
A fronte delle risorse e delle potenzialità che esistono nelle aree di frangia risulta evidente la scarsa attenzione attribuita alle politiche culturali e territoriali riferite al paesaggio urbano, che, nonostante la domanda dei cittadini, continua ad essere visto solo in chiave meramente conservativa e non come motore di strategie ecologiche, culturali e sociali per la città contemporanea.
Gli strumenti per la tutela e valorizzazione del paesaggio sia a livello statale che regionale (Piani Territoriali Paesistici), che a livello comunale sembrano non fornire questa chiave di lettura delle potenzialità culturali dei territori, riservandola al massimo solo alle aree centrali. Non viene sviluppato adeguatamente il tema della valorizzazione territoriale connessa ad elementi culturali, ad esempio il Piano Territoriale Paesistico del Lazio non sembra seguire un approccio di tutela attiva dei sistemi storico culturali legati ai territori, non viene compresa l’importanza della percezione del paesaggio e della relativa consapevolezza dei cittadini.
Il Comune d’altra parte sembra non voler far leva su tali potenzialità, che peraltro sono relativamente semplici da attualizzare. I modelli di sviluppo della città, che hanno evidenziato tutte le loro criticità, di fatto seguono i soliti binari senza capacità di innovazione, senza applicare alle strategie territoriali un approccio culturale.
La rigenerazione urbana è ambiguamente definita ed interpretata solo come strategia per interventi a carattere edilizio, soprattutto come rinnovo edilizio di carattere energetico o al massimo in chiave di mobilità alternativa. Eppure i cittadini stanno mostrando una forte consapevolezza culturale insieme ad una grande determinazione a riappropriarsi dello spazio pubblico e chiedere il potenziamento del verde e di progetti di agricoltura multifunzione, configurando nuovi orizzonti di città, ricercando connettività e rigenerazione culturale, affermando il loro “ diritto alla città”.
Anche dopo l’epidemia che pure ha evidenziato l’importanza degli spazi pubblici di prossimità, la necessità di combattere l’inquinamento, l’importanza dell’agricoltura urbana, l’utilità di produzioni a “chilometro zero”, nessuna politica culturale viene seguita per il paesaggio e i problemi di crisi dei territori non vengono affrontati con capacità di strategie di innovazione.
Di fatto si registra negli strumenti urbanistici la totale indifferenza rispetto a questi temi, che sembrano essere considerati sovrastrutturali. L’ascolto della domanda delle comunità da parte degli Enti risulta pressochè inesistente, e i risultati tardano a venire, mentre a livello europeo tale approccio integrato, anche sul piano culturale, sembra ormai svilupparsi in numerose sperimentazioni.
